KANSEN
  
Titolo italiano: INFECTION
Produzione: 2004 - Giappone, Toho Company/Oz Company Ltd./Geneon Entertainment/ Nikkatsu, col., 98 min.
Regia: Masayuki Ochiai
Sceneggiatura: Masayuki Ochiai dal soggetto di Ryoichi Kimizuka
Interpreti: Michiko Hada, Mari Hoshino, Tae Kimura, Yoko Maki, Moro Morooka, Shirô Sano, Kaho Minami, Koichi Sato, Masanobu Takashima, Isao Yatsu
Kansen si svolge nel giro di una notte, all'interno di un ospedale giapponese, fatiscente nelle strutture sanitarie, sull'orlo del collasso a causa del malcontento, dello stress e della scarsa preparazione professionale del personale numericamente insufficiente.
Il dottor Uozumi convince i suoi colleghi a mantenere il silenzio sulle cause della morte di un paziente - malato terminale e senza famiglia - per evitare un'inchiesta che incriminerebbe per imperizia un medico ed alcuni infermieri. Nello stesso momento, però, un uomo, ricoverato d'urgenza per una misteriosa infezione, viene dimenticato nell'astanteria del pronto soccorso e muore tra atroci convulsioni. Il virus, che colpisce gli organi interni innescando un processo di rapida corrosione delle cellule organiche, contagia gli inservienti e si diffonde nei reparti scatenando una inarrestabile epidemia. I medici non sanno come combattere il contagio che consuma le vittime trasformandole in putrescenti masse informi... Il mattino dopo, l'ospedale è un teatro di sangue.
Il fantahorror delle mutazioni annovera un piccolo capolavoro in questo film di Masayuki Ochiai (Parasite Eve), lugubre nelle atmosfere, davvero inquietante nelle situazioni e sottilmente enigmatico nei contenuti.
Muovendosi su una complessa tradizione cinematografica giapponese di paure ancestrali o recenti (
Matango) e sfiorando Cronenberg, Von Trier (The Kingdom) e Carpenter (La Cosa), Kansen traccia una cruda simbologia di immagini e di colori contrastanti (...il giardino abbandonato della clinica, l'altalena arrugginita mossa da mani invisibili, le ambientazioni permeate di surreali tonalità rosse o verdi...) , per discorrere dell'ambivalenza della realtà, dell'inconscia manipolazione esercitata sulle cose dalla percezione, dell'ambiguità di quanto vediamo o crediamo di vedere. Un orrore fisico e psicologico che sfugge alle categorie del razionale, che sviscera oggetti e corpi facendoli diversi da sé, in nuove forme e in nuovi significati.
Mostrando sicurezza e personalità, Ochiai corre il rischio di deludere parte del pubblico: a lui non interessa la spiegazione narrativamente compiuta, ma l'impressione di un microcosmo come riflesso di un mondo allucinato e distorto, privo del conforto della certezza.
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